Si è chiusa un’epoca.
Nei primi anni ‘80 del secolo scorso qualcuno ha avuto un’intuizione che nel tempo si è rivelata vincente: “Perché lo speleologo, viste le sue conoscenze ed esperienze, non può operare proficuamente anche in particolari cavità costruite dall’uomo?”. La risposta era semplice, lo speleologo è la persona più adatta a muoversi in sicurezza e con competenza in ogni ambiente sotterraneo, comprese quindi le cavità dovute all’azione antropica.
Da questa semplice constatazione è nata, e si è sviluppata a Trieste, quella che oggi chiamiamo comunemente “speleologia in cavità artificiali”.
Non è stato facile all’inizio. Nei vari gruppi grotte si guardava con diffidenza a questo particolare settore della speleologia, e in molti si sono ritenuti superiori a tali esperienze, esprimendo il loro disappunto nei confronti della nuova disciplina.
Nonostante tutto, in seno alla Società Adriatica di Speleologia, un gruppo di appassionati ha iniziato le sue ricerche sul sottosuolo urbano (e non solo), operando con entusiasmo e capacità. Nella fase di avvio delle attività inizialmente si è prodigato Erwin Pichl, ma poi la figura che è emersa come insostituibile coordinatore di tutte le indagini è stata quella di Armando Halupca.
Armando ha avviato i rapporti con il Comune, ha organizzato le varie uscite, ha diligentemente documentato ogni cavità visitata, creando un vasto archivio fotografico d’indubbia valenza storica.
Sono stati così visitati e documentati tutti i rifugi antiaerei, grandi e piccoli, di Trieste. Sono stati indagati pozzi, cisterne, gallerie di drenaggio e torrenti coperti. Una particolare fase delle ricerche ha riguardato poi la riscoperta degli acquedotti, partendo da quello romano di Bagnoli, passando per le opere Teresiane, fino ad arrivare alle costruzioni più recenti.
Un importante momento è stato quello che ha visto la valorizzazione dei Sotterranei dei Gesuiti sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore, intervento che l’ha visto attivo protagonista, nei lavori e nei momenti di divulgazione, fino a qualche anno fa. Da non dimenticare, infine, il suo contributo nell’allestimento della sezione museale dedicata alle cavità artificiali presso lo Speleovivarium.
Armando Halupca è stato non solo l’indiscusso direttore della Sezione di Speleologia Urbana della SAS per quasi quarant’anni, ma ha sempre dato il massimo per far sì che questa disciplina venga accettata da tutti, dando un ruolo preciso allo speleologo che, a Trieste, è diventato oggi il soggetto di riferimento per ogni iniziativa (esplorativa, di ricerca, didattica) rivolta al sottosuolo cittadino.
Se oggi la disciplina della speleologia in cavità artificiali è una realtà viva e dinamica, una parte importante dell’attività svolta da ogni gruppo grotte, è anche merito del lavoro e dell’impegno di Armando.
Ovviamente il suo incontro con il mondo delle grotte è avvenuto molto prima e da giovane sono iniziate le sue esperienze nella cavità naturali. Un rapporto particolare che ha forse raggiunto il suo massimo nel corso dei lavori riguardanti l’abisso di Trebiciano, dove Armando è stato uno dei protagonisti delle complesse operazioni che hanno portato alla realizzazione della Ferrata Adriatica che, come lui sempre ricordava, “E’ la ferrata che scende più in profondità nel mondo”.
Per finire, come non ricordare i tanti libri che l’hanno visto quale coautore, tutte pubblicazioni che evidenziano il suo grande amore per la città di Trieste, il territorio e la sua storia.
Ci mancherà il suo entusiasmo, la sua grande capacità di costruire attrezzi e trovare soluzioni, il suo senso dell’organizzazione e anche un suo certo rigore che caratterizzava l’avvio e l’effettuazione delle tante ricerche. Come indicato all’inizio, con la scomparsa di Armando Halupca si chiude un’epoca, ma si può tranquillamente affermare che i tanti appassionati che oggi studiano ed esplorano il sottosuolo della nostra città sono anche la conseguenza diretta della grande passione che Armando ha dimostrato nel corso della sua lunga e considerevole attività.



