In questa pagina vogliamo raccogliere i progetti, le difficoltà e le considerazioni sulle attività avviate presso la Stazione Sperimentale Ipogea di Monitoraggio Ambientale di Trebiciano (S.I.S.M.A.).
Esula dalle nostre competenze una specializzazione in tele-controlli o tele-misure. Non siamo neanche tecnici particolarmente preparati perché, da quando qualcuno di noi faceva quel mestiere, sono passati più di trent’anni. Oggi siamo soltanto dei dilettanti cui è rimasta intatta la passione per l’argomento, ma che possono giovarsi della collaborazione di alcuni specialisti di elevato livello. Ed a questi chiediamo suggerimenti quando le cose non vanno per il loro verso.
Perciò, sin d’ora premettiamo che non vi forniremo istruzioni da seguire pedissequamente per ricavare misure dalle grotte, non ne siamo capaci. In futuro, quando le apparecchiature funzioneranno perfettamente, forse potremo suggerirvi qualcosa di concreto.
Oggi, invece, cercheremo di raccontarvi tutte le difficoltà che abbiamo incontrato – e che ancora incontriamo – nella realizzazione del nostro progetto. Questo, perché non andiate a cozzare contro i problemi nei quali noi ci siamo già imbattuti e che stiamo superando non senza difficoltà. Lo scopo di queste pagine è quello di far risparmiare soldi, tempo e fatica a chi è intenzionato a monitorare una grotta ma, soprattutto, a non farlo desistere dall’impresa: monitorare in tempo reale una grotta ve la farà sentire viva e vitale, ben diversa dal fenomeno carsico cui talvolta guardiamo con un certo distacco.
Se avete qualche altra idea ditecela, noi ci daremo da fare!
L’infrastruttura L’infrastruttura che abbiamo realizzato è costituita da una grotta (l’Abisso di Trebiciano), un fabbricato adibito a Stazione Sperimentale ed un collegamento dati tra i due siti. Per realizzarla ci abbiamo impiegato – vietato ridere! – trent’anni. Risale infatti al 1974 la prima concessione comunale che ci affidava la grotta. Successivamente siamo riusciti a mettere le mani su un fabbricato fatiscente che era lo spogliatoio degl’incaricati della nettezza urbana all’ex-discarica che sorgeva proprio in zona (500 metri). Infine abbiamo collegato elettricamente i due punti. In sintesi, è bastato un po’ d’impegno ed il gioco è riuscito. Beh, non è che ci abbiamo lavorato ininterrottamente per trent’anni, però l’impegno è stato costante. Step by step, ci stiamo arrivando. Abbiamo dovuto innanzitutto rendere nuovamente percorribile la grotta. Quando l’abbiamo preso in carico, l’abisso era difficilmente visitabile a causa delle frane che rendevano quasi impraticabili i cunicoli che collegavano i singoli pozzi. Le vecchie scale di legno si sbriciolavano durante la discesa e la situazione era diventata realmente pericolosa. In varie fasi abbiamo disostruito le gallerie, rifatto i muretti di contenimento e sostituito totalmente le vecchie scale. Analogamente abbiamo operato per ristrutturare il fabbricato. Dopo anni di tentativi infruttuosi per rappezzare l’edificio (umidità e vandalismi) ed il rischio di perderlo per le intemperanze di alcuni nostri ex-soci, siamo riusciti ad ottenere un contributo che ci ha consentito di avviare la sua completa ristrutturazione. Abbiamo però dovuto imporre una nuova “destinazione d’uso” all’edificio, traformando la vecchia foresteria con cucina e caminetto in una Stazione Sperimentale. Abbiamo impiegato quattro anni per acquisire l’allacciamento dell’edificio e della grotta alla rete ENEL. Una volta ottenuta l’energia elettrica, abbiamo steso una nostra rete telefonica ed i doppini in rame per collegare la grotta al fabbricato. |
La Grotta
In sintesi: 20 pozzi per 273 m di dislivello, intervallati da vani di ampiezza ridotta. Sul fondo un’enorme caverna (150 m x 200 m), che scende per ulteriori 56 m sino al corso del fiume Timavo.
In questa sezione del sito affronteremo le tematiche relative alla possibilità di acquisire misure e farle giungere alle cassette di derivazione, che devono essere posizionate in vani facilmente accessibili:
- C1 sotto la botola d’ingresso
- C2 nella “Caverna dei protei -50 m
- C3 alla Base del “P53” -150 m
- C4 all’imbocco dei “Pozzi laterali” -240 m.
I sensori sono attualmente immersi nel sifone d’uscita a 329 m di profondità. Abbiamo però in programma di inserirne di altri, anche se il numero delle cassette è comunque già oggi sufficiente.
L’abisso si presterebbe bene al rilevamento di numerosi parametri fisici e chimico-fisici, specialmente per quanto riguarda l’idrologia e le acque di percolazione. Ad oggi manca infatti una rilevazione costante delle portate del fiume e un’indagine sulle discontinuità di livello dell’acqua durante le piene, che potrebbero esistere tra la Caverna Lindner e la Galleria Beram, posizionata al culmine della china sabbiosa della caverna.
Qualche interessante risultato potrebbe scaturire misurando la differenza di volumetria tra l’acqua entrante e quella uscente attraverso la frana del sifone d’uscita. I livelli delle piene, infatti, sono veramente ragguardevoli: quasi 100 m.
La Stazione La nostra Stazione copre un’area di 60 mq ed è stata ricavata da uno spogliatoio utilizzato dagli addetti all’ex-discarica dei R.S.U. che sorgeva sul luogo. Si trova a 1.200 m in direzione Nord dall’abitato di Trebiciano (frazione del comune di Trieste), ed a 500 m dall’Abisso di Trebiciano. La sala visitatori è dotata di 4 postazioni PC, una postazione multimediale, un proiettore video, una lavagna luminosa ed un videoregistratore. La capienza per i corsi è di 12 persone. La saletta di acquisizione dati è dotata di una stazione meteorologica (parametri esterni), un server di rete, il PC collegato alla grotta ed ai vari sistemi di allarme e videosorveglianza del sito, un generatore di segnali, alcuni analizzatori di precisione, ecc. Un pannello, collegato in parallelo a quello della saletta acquisizione. consente il collegamento diretto alla dorsale. |
La dorsale
La dorsale di trasmissione dati è costituita da diverse tratte a più vie connesse tra di loro e spesso duplicate, che consentono agli operatori di scegliere la linea sulla quale operare o per ovviare agli inevitabili guasti. La trasmissione dei dati segue lo standard 485 (tramissione digitale per tratte lunghe sino a 1.200 m).
- Il primo tratto, in fibra ottica multimodale, appaiata a cavo telefonico multicoppie, collega la Stazione (C0) con la botola d’ingresso della grotta (C1).
- Il secondo cavo unisce la botola (C1) con una cassetta posta nella “Caverna dei protei” (C2).
- Il terzo connette la “Caverna di protei” (C2) con la postazione situata alla base del P. 53 (C3).
- Il quarto cavo allaccia il fondo del P. 53 (C3) con la postazione collocata alla sommità dei pozzi laterali (C4).
Tutte le postazioni sono provviste di un apparecchio telefonico collegato ad un centralino.
Le interfacce della dorsale sono alimentate a 24 V da una batteria di accumulatori. La Stazione e la grotta sono collegate alla rete elettrica e, tra loro, tramite centralino telefonico.
Si è scelto di utilizzare la fibra ottica nella tratta epigea, per ovviare agli inconvenienti causati dalle scariche atmosferiche che danneggiavano spesso i sensori di rilevamento ed i PC della Stazione.
La linea precedente, costituita da doppini telefonici in rame, era infatti tesa tra i pali che fornivano l’energia elettrica alla grotta.
Durante i lavori d’interramento della fibra ottica (500 m di scavo in roccia!) si è provveduto ad affiancare al tubo un tondino in acciaio zincato collegato ad alcune paline di terra. In questo modo abbiamo ottenuto un riferimento equipotenziale tra la Stazione e la grotta e, finalmente, una buona “terra” per la grotta.
Le interfacce La trasmissione dei dati avviene secondo lo standard 485, che consente l’utilizzazione di linee della lunghezza di 1.200 m. Un semplice doppino telefonico è sufficiente per il trasferimento delle informazioni o dei comandi. Il nostro sistema ha il vantaggio di essere bidirezionale: riusciamo infatti ad interrogare e leggere i valori dei vari sensori, nonché ad ordinare la chiusura o l’apertura di determinati contatti. Il tutto è reso possibile dall’impiego di tecnologia Advantech, alimentata da tensioni da 10 a 30 V ed isolata sono a 3.000 V. Le interfacce da noi utilizzate ed in fase di collaudo si possono suddividere in poche categorie:
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I sensori
Il problema è estremamente delicato e deve essere trattato con molta cautela. Sino ad oggi i nostri sensori hanno operato solo per limitati intervalli di tempo, finendo ben presto danneggiati dalle scariche elettriche. Non abbiamo ancora appurato se le cause sono da imputarsi ad eventi meteorologici o a dispersioni galvaniche provenienti dalla vicina linea ferroviaria.
Oggi la nostra attenzione è dedicata specificamente alla realizzazione ed al collaudo della dorsale di trasmissione. Quando saremo assolutamente certi che i valori acquisiti saranno quelli realmente rilevati, che il nuovo isolamento adottato avrà soddisfatto le nostre esigenze e che nessuna influenza esterna potrà interferire lungo la catena PC, interfaccia, fibra ottica, interfaccia, doppino, acquisitore, solo allora riaffronteremo l’argomento “sensori”.
Abbiamo comunque potuto trarre alcune (poche) conclusioni:
- La tensione d’uscita del sensore (mV) deve essere immediatamente convertita in corrente (mA);
- È consigliabile l’adozione dello standard 4-20 mA, quello utilizzato dall’industria. Lo zero deve corrispondere a 4 mA e lo span (fondo scala) a 20 mA. Questo standard consente di disporre il sensore anche a distanza notevole dall’acquisitore e di accorgersi immediatamente dell’eventuale interruzione della linea;
- Nel caso di distanze importanti, oltre a consigliare l’utilizzo di un terzo filo per l’alimentazione, raccomandiamo di prestare estrema attenzione all’isolamento del cavo di trasmissione. L’umidità riesce a penetrare radialmente nei cavi ed anche una minima perdita d’isolamento, moltiplicata però per tutta la lunghezza del cavo assume un’importanza determinante sull’esito della misura.
Potete fare riferimento alla sezione Suggerimenti più sotto.
Il software Stiamo sperimentando vari programmi. Vi informeremo quando avremo acquisito dati ed informazioni a sufficienza. |
L’attrezzatura
Sin dall’inzio del progetto abbiamo cercato di standardizzare tutti gli elementi costruttivi. Era infatti necessario programmare l’utilizzo di solo pochi strumenti per operare in grotta. La standardizzazione ha avuto successo, la limitazione dell’attrezzatura si è rivelata, invece, una disfatta sul campo.
C’è poco da fare, serve di tutto: dalla carpenteria leggera, agli impianti elettrici, all’elettronica, all’informatica, alla telefonia. E bisogna pure prevedere un’escursione nel campo dell’aria compressa per la taratura dei sensori e la pressurizzazione delle cassette.
Noi abbiamo cercato di dotarci di tutta questa attrezzatura. Non possiamo certo permetterci di pagare qualcuno per fare il lavoro.
Per portare avanti il nostro progetto non è infatti sufficiente avere una buona dotazione di attrezzi per elettronica e la strumentazione relativa. Per la taratura dobbiamo avvalerci di alimentatori stabilizzati, generatori di segnali, tester di precisione con un maggior numero di cifre significative, bottiglie di dewar per la lettura delle temperature, colonne graduate per il livello dell’acqua, manometri di precisione per i trasduttori di pressione, termometri da laboratorio ecc.
E naturalmente PC con programmi dedicati di acquisizione, registrazione e gestione.
I problemi In realtà in problema è uno ed uno solo: l’umidità. Badate bene: non solo l’acqua, ma l’umidità! Le cassetta di derivazione. In fase d’installazione è importante che siano montate a piombo, livellate ed appoggiate ad un piano perfetto. Per molti anni abbiamo utilizzato i comuni sali antiumido che si comprano al supermercato. Ci avevano detto che avrebbero ossidato tutti i contatti all’interno della cassetta ma il fatto non si è verificato. In questo modo – viste anche le ridotte dimensioni del contenitore – riusciamo a mantenere all’interno il 40% di umidità. Bisogna però ricordarsi di cambiare i sali almeno una volta al mese. Adesso stiamo adottando un nuovo sistema: pressurizzare leggermente la cassetta. I cavi. L’acqua vi penetra dalle teste, oppure radialmente. Non eravamo certo in grado di iniettarlo né di acquistare un cavo con queste caratteristiche a causa del suo costo elevatissimo. Ci siamo dovuti inventare un metodo per tamponare un comune cavo. Il problema dell’isolamento su lunghe tratte è estremamente importante nel caso della trasmissione di segnali analogici: anche la minima perdita d’isolamento sballerebbe i valori rilevati. Contenitori immergibili. Sopperiamo alla necessità riempiendo totalmente i contenitori con resina semifluida, dopo aver avvolto connessioni o sensori con la pellicola di nylon. Anche in questo caso, dove c’è la resina non dovrebbe entrare l’acqua. |
I Suggerimenti
Le cassette di derivazione.
Meglio se leggere, robuste e di buona marca. Noi abbiamo utilizzato il mod. Londra della LUME. Se la cassetta non è a bolla ed a piombo, si chiude male e vi entra l’acqua.
Iin grotta non esistono superfici piane su cui avvitare un qualsiasi oggetto. Prima di iniziare a forare la parete “ad occhio”, è meglio posizionare sulla roccia una dima (plexiglas) del fondo della cassetta ed individuare la posizione in cui sarà possibile ottenere approssimativamente un piano. Poi fissiamo il primo tassello ed il secondo. Utilizziamo dei profilati ad “U” d’alluminio (50×35) che vengono ancorati alla parete con barre filettate inox da 8 mm (tassello in ottone da 10 mm). L’aletta posteriore del profilato superiore viene forata e fissata con dado e controdado, prevedendo già dove andrà a cadere quello inferiore. Seghiamo quindi la barra in eccesso. Con la dima di prima passiamo a fissare il profilato inferiore. Quasi mai riusciremo a mettere esattamente a bolla i due profilati, ma dobbiamo assolutamente riuscire a fissarli sullo stesso piano (filo a piombo abbinato a dado e controdado per le regolazioni). Fatto questo, basta appoggiare sulle alette anteriori dei due profilati la sagoma, regolarla con la bolla per una livellazione perfetta, segnare i fori di fissaggio della cassetta, forarle ed il gioco è fatto. Poi s’infilano il bullone (8×25 inox), la mano e la chiave tra le due alette del profilato e si stringe. Attenzione: qualche volta non ci siamo ricordati di lasciare il posto per girare la chiave!
I sali antiumido.
I contenitori che vengono commercializzati con i sali sono troppo ingombranti per la nostra utilizzazione all’interno della cassette. Abbiamo perciò acquistato delle vaschette di ridotte dimensioni (15x4x9 cm) e della reticella fine in inox. Abbiamo tagliato la reticella in modo da incastrarla all’imboccatura della vaschetta e, sopra, abbiamo versato un pugno di sali. L’acqua assorbita dai sali cola sul fondo della vaschetta ed il tutto funziona ad un costo contenuto. Anche nel caso di pressurizzazione esterna, è consigliabile mantenere comunque i sali all’interno delle cassette. In caso di guasto all’alimentazione pneumatica i sali potrebbero infatti continuare a svolgere la loro funzione in attesa del ripristino.
La pressurizzazione delle cassette.
Stiamo cercando di pressurizzare le cassette per impedire che l’umidità possa penetrarvi per condensazione o per insufficiente tenuta delle guarnizioni. Riteniamo bastante una bassissima pressione (pochi centimetri di colonna d’acqua) per ottenere il risultato. Anche se le guarnizioni non dovessero tenere, il minimo flusso d’aria fornito dal compressore dovrebbe essere sufficiente a mantenere asciutto il contenitore. Abbiamo perciò realizzato una centralina dotata di un paio di rubinetti (uno per la linea a monte, l’altro per quella a valle), un riduttore di pressione per regolare il flusso necessario ed un manometro per controllare la linea. Dall’uscita del riduttore parte un tubicino che va ad un trivio (all’esterno della cassetta, in alto a sinistra). Dal trivio, un’uscita va alla cassetta da deumidificare mentre l’altra va alla successiva cassetta, ecc.. Naturalmente, più saranno le cassette, maggiore dovrà essere il flusso d’aria in uscita dal riduttore.
I cavi.
Nella tratta analogica, anche una leggera perdita nell’isolamento dei conduttori causa gravi problemi. Per le consuete difficoltà economiche non abbiamo avuto la possibilità di acquistare cavi omologati alla tenuta del vapor acqueo.
Ci siamo perciò dovuti arrangiare: abbiamo acquistato una bobina di cavo commerciale Cat. 5 (250 m, isolato con teflon), ad una testa abbiamo applicato una pompa a vuoto ed all’altra un serbatoio pressurizzato (1 Bar) contenente olio ai siliconi (quello delle vecchie fotocopiatrici, cancerogeno ma idrorepellente ed a bassa tensione superficiale).
In due mesi siamo riusciti a tamponare il cavo completamente (la pompa a vuoto si è rivelata un optional). Oggi siamo in fase di collaudo del cavo e speriamo che l’acqua non riesca ad entrare dove il vuoto è stato riempito dall’olio.
Roadworks “Roadworks” stava per lavori in corso, non per lavori stradali! Ma alla fine ci siamo trovati realmente impegolati nei lavori su strada o, meglio, su sentiero. Questi sono i lavori che seguiranno:
Man mano vi daremo conto dello stato dei lavori. Speriamo di depennarne presto alcuni perché l’elenco freme attendendo l’inserimento di nuove voci. |