“Non vi ha passo che si muova, in cui l’uomo non sia esposto a irreparabile pericolo, se il coraggio o le forze l’abbandonano”.
Relazione del 1841 sullo stato degli allestimenti all’interno della Grotta n. 17 VG
L’Abisso di Trebiciano, oltre ad essere tra le più profonde cavità del Carso triestino, è stato l’oggetto preminente di una ingente mole di studi scientifici inerenti i diversi campi in cui si articola la disciplina speleologica. Questo particolare interesse è senza dubbio derivato dal fatto che la grotta, intercettando il fiume Timavo lungo il suo corso sotterraneo, poteva rappresentare al momento della scoperta (1841) la definitiva soluzione al grave problema dell’approvvigionamento idrico della città di Trieste. Per questo motivo, la grotta è stata attrezzata fin dai primi anni con scale fisse di discesa, per poter accedere facilmente ed in breve tempo al Timavo.
Quando le prime attrezzature con il tempo si sono deteriorate, visto l’interesse scientifico che continuava a destare la cavità, si è provveduto a sostituirle con altre di nuova costruzione, in un susseguirsi di lavori di rifacimento che hanno portato a ben 6 diverse realizzazioni precedenti la nuova “Ferrata Adriatica”. Il disfacimento delle scale lignee dell’ultimo allestimento (risalente al 1913) ha costretto ad intraprendere, nel 1975, la bonifica completa dei pozzi dell’abisso, con la demolizione delle strutture pericolanti ed oramai pericolose.
A questo punto le soluzioni possibili erano due: o ripulire completamente la cavità, che risultava comunque pesantemente rimaneggiata per i lavori eseguiti nel tempo al suo interno, oppure ripristinare nuovamente la via di discesa con la posa in opera di nuove attrezzature.
La Società Adriatica di Speleologia ha ritenuto opportuno seguire questa seconda via, riconoscendo il valore della grotta quale “finestra” privilegiata sul fenomeno carsico profondo dell’altipiano triestino e riconfermando la vocazione storica di questa cavità ad un ruolo di grande “laboratorio” naturale, sede ottimale per l’effettuazione di ogni ricerca e studio scientifico di carattere speleologico.
Le foto presenti in questo articolo non si riferiscono, ovviamente, agli
allestimenti ottocenteschi, ma ad esplorazioni a partire dagli anni ’30.
Le vie attrezzate precedenti la “Ferrata Adriatica”
Grotta più profonda del mondo per 83 anni, ricca di storia più di ogni altra sul Carso triestino, la grotta di Trebiciano si appresta ad abbracciare un nuovo capitolo della sua già consistente vita speleologica. E’ stata ultimata infatti la “Ferrata Adriatica”, unica nel suo genere e, per quanto noto, prima sul territorio nazionale a scendere a tale profondità (- 329 m ). Permetterà la visita al Timavo sotterraneo ad un pubblico più vasto, non esclusivamente di addetti ai lavori (ed a questi ultimi darà la possibilità di continuare seriamente studi e ricerche sistematiche, rinnovando quelli oramai datati del periodo prebellico).
Non è la prima volta che questo abisso è oggetto di allestimenti fissi, fin dalle primissime discese era subito apparso evidente che le scale di corda con pioli lignei erano inadeguate per valorizzare una grotta del genere.
Pietro Kandler, che su mandato di Domenico Rossetti ebbe modo di visitare la grotta così come l’aveva trovata il Lindner, scrisse:
“La discesa riesce di assai fatica. I cunicoli sono talvolta di diametro così stretto che una persona di mediocre corporatura con istento vi passa (e) una persona di altezza oltre la media non ha spazio sufficiente di muovere gli arti. I piuoli sono a troppo distanza l’uno dall’altro. Le scale sono per lo più fuori di piombo, per cui sulle braccia soltanto è affidato tutto il peso della persona ciò che riesce di somma fatica, s’aggiunga a ciò l’umido che fa sdrucciolare e piedi e mani. Il passaggio dall’uno all’altro cunicolo è a traverso di aperture sì anguste che talvolta la persona deve muoversi sulla pancia. Il montare sul capo di quasi ogni scala è assai malagevole e sempre pericoloso; talvolta anche il terminare di una scala. L’ultima scala scende dapprima per un cunicolo, indi affatto isolata nel vano di ampia volta; la sua estremità non è fissa in terra; per 22 Klafter conviene scendere; esposti per ben 16 Klafter di lunghezza all’oscillazione pendulare, ed all’attorcigliamento di due corde. Ci troviamo in dovere di sconsigliare a qualunquesiasi la discesa, se non è provveduto di cencino alla vita, se non è assicurato ad una fune, se non è dotato di forza nelle sue braccia, se non è immune da vertigini, e se l’animo suo può venire sorpreso da spavento o da tristi immagini. Non vi ha passo che si muova, in cui l’uomo non sia esposto a irreparabile pericolo, se il coraggio o le forze l’abbandonano.”
Da il “Rapporto della Commissione delegata all’esame dell’acqua sotterranea di Trebich”, 1841 (Archivio Diplomatico).
Nel XIX Secolo
Primo allestimento: 1842, progetto Keyermann
Un anno dopo la scoperta della grotta il Civico Ufficio Edile riuscì ad ottenere uno stanziamento di 1.000 fiorini per costruire scale e ripiani in legno di quercia da sistemare all’interno dei pozzi. A dirigere i lavori fu l’ing. Keyermann, che in quell’occasione fece pure allargare i passaggi più stretti con delle mine, riuscendo a completare l’opera appena in tempo per dare la possibilità ai collaboratori dell’ing. Calvi di Milano, chiamato dal Rossetti a esprimere un suo parere sulla possibilità di sfruttamento idrico della grotta, di calarsi fin sul fondo per effettuare misurazioni e completare i rilievi topografici. Era il 16 giugno 1842. Tre mesi dopo l’ingegnere Calvi poteva concludere: le acque di Trebiciano scorrono a più di 300 m di profondità, troppo basse per pensare di utilizzarle in un modo che non sia antieconomico, meglio dunque utilizzare altre vene d’acqua (come è noto, l’ing. Calvi propose infine un suo progetto riguardante le sorgenti di Bagnoli).
Secondo allestimento: 1848-49, progetto Sforzi
Il 1848 fu l’anno in cui l’Europa tremò di un brivido rivoluzionario che portò novità anche a Trieste: la città ottenne il reggimento municipale e si costituì un Consiglio Comunale al cui interno venne formata una Commissione alle Pubbliche Costruzioni e ai Lavori Idraulici, che riprese nuovamente a cuore il problema dell’approvvigionamento idrico della città. Il Magistrato incaricò l’ing. Giuseppe Sforzi, già stretto collaboratore del Rossetti (deceduto nel novembre del ’42), di occuparsi nuovamente di Trebiciano e questi rese di nuovo agibile la grotta sostituendo e riadattando le scale oramai fatiscenti dell’allestimento Keyermann. Dal giorno della delibera di finanziamento di 600 fiorini a quello della prima discesa passarono sei mesi. Nel maggio 1849 Sforzi misurò la portata del fiume ed elaborò un progetto che prevedeva la costituzione di una galleria artificiale Trebiciano-Roiano, lunga più di cinque chilometri, calcolando la durata dei lavori in 8-10 anni, con una spesa di 700.000 fiorini. Non se ne fece nulla e l’ambizioso progetto rimase nel cassetto.
Terzo allestimento: 1869-70, progetto Bürkli-Wauchnig
A riprendere nuovamente in considerazione l’abisso di Trebiciano fu l’ingegnere svizzero A. Bürkli che su incarico della Commissione delle Pubbliche Costruzioni, coadiuvato nel lavoro dall’ingegnere edile Wauchnig, volle avvalersi di dati nuovi per esprimere un suo parere sui vari progetti di approvvigionamento idrico fino allora proposti. Per effettuare le misurazioni furono riparate alcune scale di legno. Alla fine il Burkli si pronunciò a favore delle sorgenti del Risano.
Quarto allestimento: 1884, Società Alpinisti Triestini
Dal maggio al luglio 1884 i soci della S.A.T. riattivarono le scale impraticabili già molti anni prima. Il 26 ottobre viene organizzata la prima visita ufficiale a cui partecipa il celebre esploratore F. Kraus di Vienna.

Quinto allestimento: 1894, progetto Polley-Valeri
L’ing. Antonio Polley, dopo aver acquistato tutti i diritti di usufrutto della grotta dal proprietario della particella – certo Antonio Hrovatin – su cui si apre l’ingresso, di propria iniziativa finanziò un nuovo allestimento su progetto dell’ing. Valeri. Se si confronta con i lavori del ’49, del ’69 e dell’84 (che a dire il vero furono dei riadattamenti di quello del ’42), questo fu davvero imponente: tutte le scale oramai fradice degli allestimenti precedenti vennero sostituite con delle nuove, incassate a viva forza nella roccia con cunei di legno, e per la prima volta si pensò di realizzare l’attraversamento diretto della seconda cavernetta mediante un grande ponte di legno (precursore dell’attuale “ponte del brivido”) teso alla base del sesto pozzo di 20 metri , all’imbocco del settimo di 30 metri . Polley studiò a fondo la possibilità di utilizzo delle acque di Trebiciano, che considerava del tutto autonome da quelle del Timavo superiore, e propose un progetto di sfruttamento davvero coraggioso (al pari del suo allestimento) che prevedeva lo scavo di un pozzo artificiale inclinato che avrebbe dovuto raggiungere direttamente il fondo della grotta per potervi trasportare attrezzature e materiali allo scopo di bloccare, mediante una diga, il sifone d’uscita in modo da provocare un considerevole innalzamento del livello dell’acqua nelle condotte naturali che, in un secondo tempo, sarebbe stata pompata all’esterno con mezzi relativamente economici. Il progetto Polley non venne approvato dalla Giunta Municipale che avrebbe dovuto finanziare l’impresa e tutto rimase come prima.

Nel XX Secolo
Sesto allestimento: 1912-13, Ufficio Idrotecnico Comunale.
Dopo un lungo periodo di chiusura dovuto a cause precauzionali (il 21 dicembre erano crollati tre terrazzini, fortunatamente senza danni per le persone), l’Ufficio Idrotecnico Comunale rilevò la grotta stipulando un contratto di affittanza di 10 anni con il proprietario del fondo. Arrivarono dei finanziamenti approvati dalla Giunta municipale e si diede inizio ai grandi lavori di ristrutturazione degli impianti fissi che vedranno impegnati dal 5 ottobre 1912 al 21 gennaio 1913 gli operai Enrico Pedrelli, Ermanno Stichler e Amedeo Venturi, assieme al maestro falegname Antonio Miotto. Si trattò di un’opera grandiosa, mai tentata a Trebiciano, che costò più di 50.000 corone (all’epoca un operaio salariato guadagnava circa 60 centesimi all’ora) e che permise i grandi esperimenti di idrologia sotterranea del Timeus e del Boegan, che potè avvalersi dei dati raccolti in osservazioni giornaliere fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Tutte le scale del 1894 vennero asportate e sostituite con delle altre in legno scelto (pitchpine) trattato con una soluzione di solfato di rame al 2% e spalmato di carbonileo per resistere meglio all’umidità.In tutto vennero installate 69 scale fissate su terrazzini lignei ( 5 centimetri di spessore) poggianti su solide putrelle trasversali in ferro massiccio, fissate nella roccia a circa 3,70 metri l’una dall’altra.

La “Ferrata Adriatica” (1975-90).
In quest’ultimo dopoguerra la cavità fu rilevata dalla Sezione Geo-speleologica della Società Adriatica di Scienze che tentò, per quanto possibile, il mantenimento delle strutture del 1913. Quando il degrado delle vecchie scale di legno e l’accumulo dei detriti raggiunsero livelli tali da impedire quasi la discesa lungo i pozzi, la Società Adriatica iniziò, nel 1975, la completa bonifica dell’abisso. L’opera, che durò due anni, fu decisiva ed essenziale per poter pensare ad un nuovo allestimento, il settimo. Grazie alla volontà del socio E. Pichl vennero riportati alla luce i vecchi gradini di cemento nei cunicoli quasi del tutto ostruiti da diversi metri cubi di fango e legname, si demolirono metro dopo metro i terrazzini e le scale pericolanti, si spostarono massi instabili e si riadattarono i sentieri di raccordo fra pozzo e pozzo. Dopo lo sgombero del materiale si poterono installare le prime scale metalliche fisse nel tratto dalla superficie alla prima caverna a – 47 m , dove venne attrezzata una stazione di osservazione del Proteus Anguinus Laurenti.
Nel 1977, anno in cui venne forzato dai nostri speleosub il sifone di entrata del fiume Timavo, la situazione era decisamente migliorata per l’utilizzo di scalette speleo in cavo d’acciaio nella parte profonda della cavità e la discesa dei pozzi avveniva senza grossi intralci se non la fatica della lunga risalita. In seguito, con le nuove tecniche di progressione su sola corda, i tempi di discesa e di risalita si allungarono più del normale, per la necessità di “frazionare” e deviare la corda dalle decine di putrelle metalliche che attraversano ogni pozzo. Aggiungendo a questo ulteriori smottamenti dei muretti di contenimento, l’accumulo di massi e materiali vari nei cunicoli e la presenza di detriti instabili all’imboccatura dei pozzi, la visita dell’abisso di Trebiciano, un tempo facile meta di escursionisti, era però oramai riservata agli speleologi esperti. Negli anni seguenti i lavori proseguirono con l’installazione di scale metalliche fisse fino alla quota di – 77 m , nella caverna dove la passerella orizzontale (“ponte del brivido“), ancora realizzata in legno, fu in parte ristrutturata. Vari fattori, tra cui la profondità di lavoro, la scarsità dei finanziamenti e la ricerca di nuovi obiettivi da parte dei soci, resero statica la situazione sino alla fine del 1986, salvo sporadici interventi di manutenzione.

La ripresa dei lavori fu agevolata dalla collaborazione dei soci E. ed A. Halupca con l’editore B. Fachin che, sensibilizzato al progetto, sponsorizzò l’acquisto di 50 m di nuove scale. Si rese così necessario sia eseguire una nuova misurazione nei pozzi delle distanze tra le vecchie putrelle metalliche, ideale e ancora solido punto di ancoraggio, sia studiare e progettare il nuovo tracciato che la via ferrata avrebbe dovuto seguire. Si giunse così alla conclusione che la costruzione di scale su misura sarebbe stata estremamente costosa e laboriosa. Il problema venne risolto dal titolare della ditta Nordorientale Macchine di Monfalcone, M. Bon, che assieme al socio G. Crevatin mise a punto un sistema modulare di scale metalliche zincate, smontabili, ed un sistema di staffe di ancoraggio regolabili. Nel febbraio 1987, in un mese appena, il trasporto ed il montaggio delle scale fu ultimato, dimostrando così la validità del sistema. Si giunse così a metà del pozzo più profondo (53 m), situato nella parte mediana dell’abisso. I risultati ottenuti spinsero a proseguire al più presto e grazie alla sponsorizzazione del negozio “Avventura”, all’aiuto finanziario del dott. M. Stock ed ai fondi della Società, fu possibile ordinare tutto il materiale necessario (7,5 quintali) al raggiungimento del fondo della grotta. Una meticolosa preparazione della manovra e lo sforzo congiunto di una trentina di soci permisero di trasportare in una sola giornata tutte le scale rimanenti dalla superficie alla loro destinazione finale, tra la metà del “pozzo 53” e la caverna Lindner. Il montaggio fu effettuato, nei due mesi successivi, da pochi soci oramai specializzati in tali lavori e, prima di Natale, l’ultima scala sprofondò nella sabbia dell’ampia caverna terminale. L’allestimento della via “Ferrata Adriatica” era così concluso e le nuove lucenti scale metalliche si affiancavano, nell’ultimo pozzo, alle uniche scale lignee rimaste ancora intatte. Lunghi e non gratificanti lavori di rifinitura impegnarono in seguito pochi volonterosi, ed una meticolosa operazione di pulizia, bonifica e riassetto dei sentieri si rese necessaria per rendere presentabile la cavità ai futuri visitatori. La comodità di accesso e di lavoro nell’abisso, paragonabile a quella esistente nel 1913, è ora di grande aiuto non solo per un eventuale “escursionismo speleologico”, ma anche per l’avvio di nuovi studi, ricerche ed esplorazioni idrogeologiche nella cavità.

Aspetti tecnici della “Ferrata Adriatica”.
L’abisso di Trebiciano è una cavità che, nel tratto compreso fra l’ingresso e la caverna Lindner, presenta un andamento prevalentemente verticale ed è formata da un susseguirsi di pozzi più o meno profondi, intercalati da brevi gallerie sub-orizzontali di raccordo. Se escludiamo la “cavernetta dei protei” a – 47 m e la caverna del “ponte del brivido” a – 77 m , per scendere a 273 m di profondità lo sviluppo percorso in pianta non supera i 130 m . Risulta chiaro da questi dati che la costruzione di una via attrezzata di discesa presenta dei problemi tecnici legati al superamento di questi dislivelli verticali, che devono venir muniti di apposite strutture per facilitarne la discesa. Queste ultime devono risultare inoltre sicure, comode e durature nel tempo. Le precedenti realizzazioni hanno adottato strutture in legno “pitchpine”, ed hanno visto la costruzione di apposite scale a pioli e di una serie di terrazzini orizzontali che occupavano tutta la sezione dei pozzi. La “Ferrata Adriatica” è stata invece realizzata con strutture in acciaio (di grande resistenza, seppure di dimensioni contenute), trattate con opportuni procedimenti di zincatura a caldo. Le strutture verticali (scale) e quelle orizzontali (terrazzini) sono state rese solidali alle vecchie putrelle trasversali già esistenti in loco che, controllate nella loro resistenza e nel loro fissaggio alle pareti, hanno tutt’oggi fornito margini di solidità e sicurezza più che accettabili. Le scale sono state realizzate secondo principi di modularità e flessibilità, in quanto queste dovevano necessariamente adattarsi alle particolarità di ogni singolo pozzo, pur presentando dimensioni tali da permettere una facile trasportabilità in loco. Il problema è stato risolto con l’adozione di apposite scale scomponibili, formate da due montanti laterali lunghi 2 m e da scalini a sezione rotonda ed estremità filettate. Il fissaggio fra più segmenti di scala è stato ottenuto con staffe di raccordo, montate con bulloni in fori appositamente predisposti. I terrazzini sono stati realizzati con pannelli modulari in lamiera zincata, forati per l’alleggerimento dei pesi e di dimensioni standard (cm 170 x 50). Per il fissaggio alle putrelle sono state impiegate apposite staffe munite di tiranti filettati. Le scale presenti nei pozzi verticali sono ora affiancate da un cavo d’acciaio, fissato ad intervalli regolari, in modo da permettere l’utilizzo di tecniche d’auto-sicura agli speleologi che vi transitano.