di Marco Restaino, Piero Slama e Paolo Guglia
La presente relazione vuole ripercorrere quelle che sono state le varie fasi dello scavo che, pur impegnando da molti anni la Società nel tentativo di raggiungere le acque profonde del fiume Timavo, rimane ancora oggi in attesa del grande risultato.
PRIMO SCAVO (2000/2002)
Nell’anno 2000 è stata individuata, in una posizione intermedia tra l’Abisso di Trebiciano (n. 17 VG) ed il paese di Fernetti, la Dolina delle Cloce, conosciuta storicamente per i particolari fenomeni riscontrabili in essa durante i periodi delle piene timaviche.
L’idea di effettuare uno scavo proprio in questo punto è nata dall’entusiasmo di alcuni soci della Società Adriatica di Speleologia che hanno avuto la fortuna di trovarsi all’interno di questa dolina in concomitanza ad un violento fenomeno di piena. In tale occasione, è stato possibile verificare come dal fondo parzialmente allagato, attraverso fessure e buchi nella terra simili a quelli normalmente scavati dalle talpe, scaturissero vari soffi d’aria. Sembrava quasi che il fondo della dolina ribollisse ed il rumore avvertito poteva essere paragonato al “rombo” di un elicottero in lontananza.
E’ stato così individuato, quasi al centro del fondo piatto, un foro di 4 x 4 cm, che sembrava essere quello più promettente. Si decise allora di ostruire (anche con piccole gettate di cemento) gli altri buchi soffianti e di iniziare uno scavo nel punto in questione, dal quale spirava sempre un leggero flusso d’aria. Lo scavo (a sezione rotonda, del diametro di circa 1 m) si è inizialmente sviluppato nella sola terra sino alla profondità di 6 m, livello in corrispondenza del quale sono state rinvenute le prime pietre e dove lo stretto passaggio che si stava seguendo ha cambiato decisamente orientamento, sviluppandosi in obliquo. Dopo i 6 m verticali è stato creato, infatti, uno scivolo inclinato che è stato approfondito fino a -11 m dove, con grande sorpresa, tra le pietre e la terra ben compatta costituente la frana posta alla base della dolina, è stata scoperto – il giorno 1 maggio 2001 – un piccolo vano praticabile. Sul fondo di questo, sempre all’interno della frana, gli scavi sono stati ulteriormente approfonditi sino a raggiungere un’altra inaspettata sorpresa: a –20 m è stata raggiunta una caverna con pareti di vera roccia e concrezioni, alta una decina di metri (denominata caverna “11 settembre” dalla data della sua scoperta). Tale ambiente è stato raggiunto, però, arrivando alla sua base e quindi non ha contribuito ad incrementare la profondità complessiva dello scavo. Questo ritrovamento ha aumentato, però, le speranze di un imminente risultato, cioè il superamento della frana e l’intercettazione di una serie di pozzi verticali che avrebbero dovuto portare in profondità, ma non è stato così. Infatti, in occasione di una piena, è stato possibile constatare come l’aria uscisse in posizione opposta all’entrata della caverna “11 settembre”, fra le grosse pietre formanti la frana. Si è proceduto, quindi, a scavare fra i massi per ulteriori 4 m, insinuandosi in una specie di passaggio meandriforme. Fortunatamente, non è stato più necessario portare in superficie il materiale estratto e lo stesso è stato stivato nella vicina caverna. Giunti alla profondità di 24 m, a causa di problemi personali dei giovani scavatori, sono stati temporaneamente sospesi i lavori. Durante l’anno seguente (2002), a causa della mancanza di opportune opere di consolidamento della frana e dei relativi lavori di manutenzione, il passaggio di 8 m di collegamento fra le due caverne è collassato, precludendo ogni possibilità di transito.

SECONDO SCAVO (2002/2003)
Dopo la pausa obbligata dovuta a motivi personali degli scavatori ed alla frana, la voglia di riprendere i lavori non era certo delle migliori. E’ stato necessario, allora, studiare una soluzione per ridiscendere nei vecchi passaggi oramai non più raggiungibili, cercando nel contempo un minimo di sicurezza in più. Considerato che a – 20 m avevamo trovato una caverna stabile alta più di 8 m e quindi con la parte sommitale a – 12 m dalla superficie esterna, abbiamo deciso di raggiungere la zona sicura arrivando dall’alto, eseguendo uno scavo sulla perpendicolare della cavernetta denominata “11 settembre”.
L’idea iniziale è stata quella di ottenere un accesso verticale di circa 20 m (12 da scavare e 8 di cavernetta), per poi accedere ai passaggi precedentemente raggiunti e metterli in sicurezza. Così è iniziato lo scavo di un nuovo pozzo.
Il punto dove sono stati iniziati i lavori è stato individuato in base a vecchi rilievi parziali, prove effettuate con tecniche radioestesiche ed un po’ di intuito accompagnato dalla memoria dei protagonisti dei precedenti lavori.
L’avanzamento è risultato velocissimo: è stato possibile scendere da 0 a 6 m di profondità in qualche giorno di scavo; da 6 a 9 m, invece, vista la compattezza della roccia calcarea, è stato possibile scendere al ritmo di qualche decina di centimetri (quando andava bene) ad uscita.
Per mancanza di prospettive concrete, di attrezzature adatte ed alla fine di voglia, abbiamo ben presto dato forfait decidendo per una nuova pausa di riflessione, durante la quale almeno abbiamo avuto la grossa soddisfazione speleologica di scoprire l’abisso Kiki (- 200 m) e nuovi rami all’abisso di Trebiciano.
Nel periodo finale di questa seconda campagna di scavi, per settimane abbiamo cercato di riparare un compressore con relativo martello pneumatico, che opportunamente sistemato è stato portato in dolina, restando però – alla fine – inutilizzato.
Risulta opportuno ricordare che, viste le problematiche relative alla scarsità d’aria sul fondo dello scavo, è stato adottato un sistema di ventilazione forzata. Allo stesso tempo, sono stati contemporaneamente utilizzati due distinti demolitori, in quanto visto l’uso continuo dei medesimi, quando era in lavoro il primo, il secondo veniva recuperato all’esterno per raffreddarsi dall’evidente surriscaldamento.
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Accesso al pozzo da 50 m che conduce verso il fondo della cavità. (foto Masarin). -
Meandro in salita, alla profondità di 100 m, che porta al nuovo ramo parallelo. (Foto L. Slama). -
Foto Sandro Sedran – S-Team © -
Foto Sandro Sedran – S-Team © -
Da sinistra Foto Sandro Sedran – S-Team © Sandro, Ben, Donato, Lara, Simona, Giorgia, Alberto
TERZO SCAVO (2004/2007)
Con nuovo spirito abbiamo deciso di riaffrontare lo scavo e creare questa volta una via definitiva che ci permettesse di accedere nuovamente alle vecchie prosecuzioni, con facilità ed in totale sicurezza. Siamo quindi ridiscesi nel primo scavo sino a –13 m, nella caverna “1° maggio”, rilevando e riportando la posizione del fondo in superficie. Dai nostri ricordi, questo punto doveva essere intermedio tra l’ingresso della caverna denominata “11 settembre” ed i rami successivi. Il punto in superficie è risultato esattamente tra gli imbocchi del primo e del secondo scavo. L’approfondimento del terzo pozzo si è protratto per alcune settimane. A differenza dei primi due, in questo abbiamo trovato diversi grossi massi che ci hanno dato del filo da torcere. A –13 m abbiamo intercettato, comunque, la cavernetta che cercavamo e ci siamo trovati esattamente sulla frana che 7 m più sotto, ed in verticale rispetto al nuovo ingresso, doveva portarci alle vecchie vie. Il materiale derivante da questo nuovo scavo è stato utilizzato per riempire gli altri due. Nel primo pozzo, a – 8 m, è stata creata, inoltre, una specie di diga per impedire che il materiale scaricato franasse nella cavernetta “1° maggio”.
Quando siamo giunti con il pozzo alla profondità di 20 m, alla base della cavernetta “11 settembre”, è risultato opportuno procedere alla messa in sicurezza complessiva del nuovo scavo. Utilizzando elementi prefabbricati e gettando il cemento sul posto nei punti più delicati, è stato possibile rendere stabile questa verticale, dotandola anche delle opportune canalizzazione per portare l’energia elettrica in profondità. Numerosi mesi nel corso del 2005 sono stati quindi dedicati a tali ingenti lavori.
Ovviamente, la sommità del pozzo non poteva essere lasciata libera e senza una chiusura che impedisse l’accesso indiscriminato. E’ stato così completato l’allestimento con l’installazione di una botola metallica, dotata di un opportuno sistema di bloccaggio, ed anche di 20 m di scale metalliche fisse per una più facile percorribilità (anno 2006).
Dopo aver provveduto alla stabilizzazione complessiva dello scavo ed aver sistemato le scale per scendere velocemente nel cuore della grande frana, è iniziato il difficile lavoro per trovare la via che conducesse finalmente in profondità.
Cercando il passaggio fra i massi instabili, puntellando i varchi appena ricavati, si è cominciato a scendere verso i pozzi che tutti speravano si aprissero appena sotto la parte instabile, formata da grandi pietre e fango, presente alla base della dolina. La progressione è stata lenta, difficile, con momenti di scoraggiamento quando il soffio dell’aria (labile traccia da seguire per raggiungere le acque di profondità) cambiava via e scompariva per ripresentarsi, in occasione di qualche piena, da un’altra parte dello scavo.

NOVEMBRE 2008
Alla metà del mese di novembre, la squadra di scavo che opera all’interno della grotta denominata Luftloch ha trovato (alla profondità di circa 50 m) una fessura fra i massi della frana che dava la sensazione di poter condurre a qualche vano di dimensioni più praticabili. Dopo qualche ora di scavo si è potuti scendere lungo uno stretto pozzetto e si è visto come questo fosse solo una diramazione laterale di un vano più grande, direttamente raggiungibile dagli ambienti già conosciuti. Con un altro scavo si è quindi aperto un passaggio più comodo, che ha condotto in un pozzo profondo 55 m. Sceso questo ampio salto, la grotta termina – per il momento – alla profondità massima di 105 m, con un riempimento di terra e massi. Durante un’uscita seguente, in corrispondenza di un periodo di piena del fiume Timavo, sono state controllate le correnti d’aria interne alla grotta e si è verificato come la probabile prosecuzione non si trovi alla base del pozzo, ma in corrispondenza di una fessura soffiante che si apre a circa una quindicina di metri dal fondo.
NOVEMBRE 2009
Prima di procedere allo scavo di un’eventuale prosecuzione, si è preferito allargare e mettere in sicurezza il tratto di cavità ancora interessato dalla grande frana. Sono stati bonificati i pozzi, rese più comode le strettoie, puntellati i tratti più instabili e sistemate opportune strutture fisse per facilitare la discesa (scale e gradini metallici) fino alla profondità di circa 60 m. Una volta completati questi lavori, si è scesi nuovamente in profondità lungo il pozzo da 55 m. Non appena sicuri che la continuazione doveva trovarsi in corrispondenza della fessura a -90 m, sono iniziati i lavori di allargamento dello stretto passaggio. Nel mese di novembre, dopo aver abbattuto l’ultimo ostacolo, è stato possibile entrare in una breve diramazione, con una cavernetta ed un camino ascendente. Controllando bene le pareti è stata trovata una finestra che si affaccia su un ulteriore pozzo. Una volta disceso, questo si è rivelato profondo 50 m, con la parte terminale interessata da enormi massi di crollo. Da una specie di terrazzino formato da tali massi, a circa 15 m dal termine, è stato possibile scendere in una diramazione laterale che si sprofonda verticalmente per altri 22 m. La profondità massima raggiunta è quindi di 170 m e sono state localizzate varie finestre e possibili prosecuzioni, che saranno oggetto delle prossime indagini.
DICEMBRE 2009
Nel corso di una attenta verifica alla ricerca di possibili prosecuzioni, in occasione di una piena del fiume Timavo, sono stati trovati – nel mese di dicembre – vari punti che presentano consistenti movimenti d’aria. La probabile prosecuzione è stata comunque localizzata alla base del pozzo da 22 m, nel punto più profondo attualmente raggiungibile della cavità (-170 m). Sono stati esplorati anche alcuni brevi rami interessati dalla presenza di una notevole circolazione idrica.
GENNAIO 2010
Non solo la grotta si approfondisce (prof. attuale – 170 m) ma, dalle continue ricerche, emergono anche nuove diramazioni secondarie. Nel corso delle recenti visite del mese di gennaio sono stati trovati nuovi sviluppi sia alla profondità di 70 m che a quella di 100 m. Nel primo caso si tratta di una finestra che conduce ad un pozzetto laterale profondo circa 5 m. Nel secondo caso, invece, risalendo uno stretto meandro si è giunti in un’altro ramo laterale, parallelo ai pozzi principali, che scende fino ad un nuovo fondo posto alla quota di -120 m. In entrambi i rami sono presenti grandi quantità di fango ma anche numerose concrezioni calcitiche.
MARZO 2010
Intrapresi gli scavi sul fondo del pozzo di 22 m, dopo essere discesi per circa 4 m in frana, è stato possibile accedere ad una breve cavernetta che porta all’imboccatura di un ulteriore pozzo, dalle ampie dimensioni. Nel mese di marzo è’ stato così disceso un salto di 32 m ed uno subito seguente di 10 m, fino a giungere alla profondità totale stimata di 216 m. Su fondo di questo ultimo salto sono sono stati osservati un laghetto, alcune fessure e la prima presenza di depositi di sabbia. E’ già stato localizzato il punto dove praticare un ulteriore scavo per continuare nell’esplorazione. Manca ancora qualche decina di metri, ma il Timavo è sempre più vicino…
SETTEMBRE 2010
Una piacevole sorpresa è stata riservata agli esploratori/scavatori il giorno 19 settembre. Scesi in profondità dopo una grande precipitazione, è stato possibile osservare come l’ultimo pozzo risultasse completamente allagato. L’acqua era risalita complessivamente per circa 20 m rispetto alla strettoia in corso di scavo e quindi aveva raggiunto la quota indicativa di 110 m s.l.m.
In questo caso il Timavo era salito ed era arrivato eccezionalmente fino a noi; non rimane che ricambiare la cortesia e forzare ancora qualche strettoia per sbucare nella caverna che, oramai con sicurezza, sappiamo ci sta aspettando ad una profondità presunta di soli cinquanta metri più in basso rispetto al punto raggiunto.
NOVEMBRE 2010
Recuperate e revisionate le attrezzature, sono iniziati gli scavi affrontando una stretta fessura verticale. Dopo varie ore di lavoro è stato possibile accedere ad un piccolo vano, lungo non più di 4 m ed altrettanto alto, che presentava su una parete un’ulteriore fessura che scendeva verso il basso. Dopo qualche tentativo, nel corso di una attenta verifica del piccolo vano, è stato localizzato un ulteriore pertugio fra le concrezioni ed è stato possibile accedere ad una specie di risalita che un pozzo di dimensioni più che percorribili. Il giorno 15 novembre, è stato disceso questo pozzo di 15 m. Alla sua base, sono stati individuati due punti di possibile prosecuzione posti fra ingenti depositi fangosi. La progressione, a questo punto, si è sviluppata in senso sub/orizzontale. E’ stato forzato uno scivoletto, un piccolo meandro orizzontale, ed è stato possibile entrare in una cavernetta sub orizzontale, lunga circa 10 m, con ben tre passaggi di limitata sezione nei quali sono evidenti le tracce del passaggio dell’acqua verso ambienti sottostanti.
DICEMBRE 2010
Nel mese di dicembre, dopo aver dedicato molte energie alle riprese del documentario “Alla ricerca del fiume nascosto”, abbiamo ripreso i lavori di scavo alla Luftloch, procedendo all’allargamento di alcune strettoie ed al forzamento della fessura terminale. I lavori stanno procedendo … a presto succose novità!
ANNO 2011
Nel 2011, concluse definitivamente le riprese per il documentario della National Geografic, da attori siamo tornati semplici speleologi con la buona abitudine (o fissazione) di scavare. Così, con una piena di modesta entità (a mezzanotte l’aria usciva dalla Luftloch a 30 km/h circa), vista la necessità di dover individuare l’esatta direzione dove proseguire le disostruzioni, decidiamo di entrare. Dopo la rapida discesa dei pozzi e dei 30 m di cunicolo prima del fronte scavo, già si udiva il forte e cupo sibilo che ci avrebbe dovuto indicare – finalmente – la via giusta. Tre erano i punti promettenti che ci aspettavamo potessero soffiare… ma quello attivato dalla piena non corrispondeva a nessuno di questi. L’aria scaturiva a più di 200 km/h, fuoriuscendo solamente da una piccola fessura in parete, alta 40 cm… ma larga forse un solo centimetro. Cercando di infilare le dita nella fessura, l’unico effetto ottenuto era quello di gonfiare la tuta speleo per la tanta aria che s’incanalava nella manica. Il rumore fortissimo non permetteva quasi di sentirsi. Avevamo trovato il punto esatto dove concentrare gli sforzi nei prossimi mesi.
ANNO 2012
Mese dopo mese, uscita dopo uscita, riusciamo a creare dal niente un passaggio lungo 3 m con una sezione di 1,5 m d’altezza per 1 m scarso di larghezza, dimensioni più che sufficienti per poter lavorare con una certa comodità. La difficoltà principale è stata quella di riuscire a seguire la mini fessura: tra materiali di risulta, piccole vene della roccia e fratture create dai nostri sbancamenti, abbiamo passato diverse giornate a scavare seguendo semplicemente il nostro intuito. Dopo i primi 3 m sub-orizzontali, ne abbiamo dovuto affrontare ulteriori 3 in verticale e così procedendo nello scavo, dall’inizio della fessura e per uno sviluppo di oltre 6 m, è passato un altro anno. In una fase di particolare sconforto, vista l’esiguità della prosecuzione seguita, si stava quasi per decidere di bloccare i lavori sino l’avvento di una provvidenziale piena che ci desse conferma della validità degli scavi effettuati sino a quel momento… ma è bastata la sola minaccia di abbandonare i lavori che, incredibilmente, un colpo di demolitore è andato completamente a vuoto, mettendo in luce un meandrino che, se messo a confronto con le fessure precedenti, presentava finalmente dimensioni più ragionevoli. Dopo aver approfondito e debitamente allargato il meandrino in ulteriori uscite, è risultato che questo proseguiva, sempre in fessura, sia a destra che a sinistra. Come tante altre volte nella storia di questo scavo, eravamo arrivati all’ennesimo bivio, e non rimaneva che aspettare l’arrivo delle piogge per ritrovare il respiro profondo del Timavo che ci indicasse la giusta via.
OTTOBRE 2012
Non passa nemmeno un mese, nel quale ci siamo felicemente e fortunatamente distratti nell’esplorazione della risorgiva posta sotto il monte Sart, a Tamaroz in Val Raccolana, e finalmente arriva la tanto desiderata pioggia. Cadono più di 100 mm in Slovenia e la primissima mattina del 16ottobre, nelle grotte di San Canziano, il Timavo da pochi metri cubi al secondo ne inizia a scaricare di colpo sino a quaranta. L’effetto si ripercuote nel sottosuolo in tempi brevi: la grotta Lazzaro Jerco – dalle 10:00 alle 15:00 – fa sentire il suo soffio d’aria a 60 km/h e alla Luftloch si raggiungono i 30 km/h alle 14:30, e quindi si decide di scendere. Dopo un’ora siamo sul fondo e, già a 30 m di distanza dalla fessura finale, il rimbombare di quanto ci aspetta si fa sentire vigoroso. Ci saremmo aspettati che l’aria spinta dalla piena uscisse a destra o a sinistra nel meandrino terminale, mentre i nostri occhi increduli hanno avuto bisogno di qualche minuto per abituarsi e accettare lo spettacolo unico della natura cui stavamo assistendo.
Tutti sanno che, in ambiente carsico, l’acqua che cade in superficie scende lentamente in profondità attraverso le fessure della roccia. Queste fessure possono essere di dimensioni ridotte o possono anche essersi allargate nel corso dei millenni, fino a diventare quelle che noi chiamiamo grotte.
L’abisso denominato Luftloch è una cavità che presenta varie caratteristiche: come ogni altra grotta partecipa in qualche modo a trasportare in profondità l’acqua piovana che cade in superficie, ma risente anche delle piene del fiume Timavo sotterraneo, che quando alza il suo livello provoca forti correnti d’aria in uscita dal suo ingresso.
Si tratta di fenomeni che di norma convivono e che, nella stragrande maggioranza dei casi, non interferiscono l’uno con l’altro.
Vi possono essere, però, alcune sporadiche circostanze che, a causa della concomitanza di più fattori, producono effetti strabilianti.
Domenica 16 ottobre 2012 si è presentata una di queste strane eccezioni. La situazione era la seguente: grandi piogge in territorio sloveno avevano portato a una piena del fiume Timavo. L’acqua si era riversata nelle gallerie che scorrono sotto il Carso causando un rapido innalzamento del livello delle acque sotterranee. Questo innalzamento aveva portato, in alcune cavità che noi chiamiamo “timaviche”, alla creazione di forti correnti d’aria in uscita dalle stesse. Flussi di una certa entità (anche se non eccezionali) erano riscontrabili all’abisso di Trebiciano, alla Grotta di Lazzaro Jerko ed anche alla Luftloch che, pur non avendo ancora raggiunto il Timavo (nonostante più di dodici anni di scavi) presenta un collegamento certo con il fiume sotterraneo.
Nella stessa giornata era riscontrabile anche una notevole piovosità localizzata su tutto il Carso, con una grande quantità d’acqua che scendeva dalla superficie verso il basso, che nella Luftloch si concretizzava in un bel torrentello che seguiva i pozzi e i cunicoli fino all’attuale fondo (punto in cui si continua a scavare).
I passaggi in cui può infilarsi l’aria in pressione possono essere più di uno, così come quelli attraverso i quali l’acqua scende in profondità, ma all’interno di questa grotta, alla quota di circa 245 m di profondità, si vede che il passaggio è solamente uno.
L’acqua del torrentello, dopo aver disceso pozzi e percorso cunicoli, si gettava nel pozzetto finale di tre metri, da noi scavato allargando una piccolissima fessura. L’aria sospinta dalla piena, saliva verso la superficie infilandosi anch’essa nella stessa stretta spaccatura.
Era questo il punto fatidico dell’incontro dei due elementi: acqua in discesa e aria in salita.
Detto così sembra una cosa quasi banale, ma bisogna immaginare cosa si è presentato, in realtà, agli occhi dei due esploratori (Marco Restaino e Massimiliano Blocher): il pozzetto quasi completamente riempito d’acqua (più di due metri) con alla sua base una potente fuoriuscita d’aria in pressione.
La prima impressione è stata quella di un grande “idromassaggio” dove l’acqua era sconvolta dalla furia dell’aria. Poi le immagini si sono rincorse pensando a una buffa “lavatrice carsica”, a un “autolavaggio speleologico”… In realtà si trattava di un grande fenomeno naturale, un delicato equilibrio fra acqua e aria, forse unico nel suo genere e comunque veramente raro. Il forte rumore dell’acqua che gorgogliava, le tante bolle, i sibili dell’aria, gli schizzi, i brombolii che si potevano sentire in quel momento, quasi la vibrazione di quelle strette pareti e la sensazione della grande forza espressa dalla natura, rimarranno per sempre scolpiti nel ricordo dei due esploratori.
Non sapevamo quale nome dare a quello che abbiamo visto e quindi abbiamo deciso per una denominazione di pura fantasia. In onore al primo esploratore che l’ha osservato, abbiamo deciso per “effetto blocher”. Parola dal suono forte e adatta a ciò che vuole indicare (guarda la notizia ed il video).
In seguito abbiamo pensato a quelle segnalazioni che, nel corso del 19° secolo, avevano riguardato alcuni punti del Carso. I “villici” locali affermavano che, in particolari circostanze, l’acqua del Timavo sotterraneo usciva addirittura all’esterno sul fondo di alcune doline, già conosciute per le correnti d’aria che si sviluppavano in occasione delle piene. In realtà non c’era nessuna risalita d’acqua (il dislivello era troppo grande) ma la pioggia, invece di infiltrarsi nel terreno, veniva ricacciata in superficie dalla violenza dell’aria in pressione. Anche in quelle occasioni, quindi, si manifestava il particolare “effetto blocher”, non nelle profondità di una grotta come lo abbiamo osservato noi, ma addirittura in superficie.
AGOSTO 2013
All’inizio dell’anno avevamo trovato un mini meandrino e non sapevamo se scavare a destra o a sinistra. Per avere indicazioni più precise abbiamo aspettato la piena ed invece di identificare il passaggio abbiamo assistito a quello che abbiamo chiamato l’effetto blocher.
In seguito sono state fatte diverse uscite al fine di sistemare i materiali di risulta degli scavi e per pulire ed allargare la zona dove abbiamo trovato le due fessure. Consapevoli del fatto che scendere con una piena non sarebbe servito a nulla, visto l’ accumulo di acqua proprio in quel punto, siamo scesi invece in un periodo di aspirazione della grotta. Difatti di acqua neanche l’ombra, ma l’indicazione chiara di una nuova direzione da seguire, ovviamente dove meno ce l’aspettavamo. Ad intuito pensavamo che la fessura giusta fosse quella di destra ed invece ad aspirare, con tanto di fischio, era quella opposta! Solo un’altra giornata di lavoro e finalmente si è aperto un modesto ambientino, lungo 2 m, alto 1 m e largo 1,5 m, ma rispetto ai precedenti 7 m di fessurina millimetrica allargata in artificiale ci è sembrato quasi un vano enorme!
Tra poco le piogge di fine estate ci daranno nuove indicazioni…
Abbiamo constatato come, da qualche mese, i valori di ossigeno siano leggermente aumentati, ed anche come i periodi di aspirazione della grotta si siano intensificati: questi segnali ci fanno ben sperare, se non addirittura presagire, che nelle prossime uscite ci possa essere qualche piccola lieta sorpresa. Potrebbe essere che – sbancando quei 7 m di micro fessura – sia stato finalmente superato un grosso ostacolo per quanto riguarda la quantità e qualità dell’aria, e che quindi ora non ci attendano più ulteriori metri di fessura quasi inesistente da seguire… chissà…
MAGGIO 2014
Dopo una piccola sosta di ripensamento, sono ripartiti nuovamente i lavori di scavo alla Luftlöch.
E’ stato necessario ripristinare i tubi dell’aria che, a causa di numerose piene, avevano subito qualche danneggiamento. Abbiamo testato l’impianto elettrico e fatto lavorare un po’ il demolitore, opportunamente “tagliandato” dopo l’aver passato qualche settimana sotto acqua.
Nei mesi precedenti ci sono state discese finalizzate alla manutenzione, al recupero dell’attrezzatura e, in occasioni delle piene, alla verifica del nuovo punto di scavo. Lunedì 5 maggio 2014, invece, ci siamo trovati in presenza di una situazione meteorologicamente “normale”, nessun innalzamento delle acque profonde, nessun soffio o aspirazione, niente pioggia all’esterno.
Dopo aver messo qualche staffa per agevolare la discesa negli ultimi sette metri scavati a forza nella viva roccia, ci siamo accorti che alla base del nuovo ambientino trovato c’era un bel pozzangherone (chiamarlo laghetto sarebbe esagerato…). Un piccolo bacino d’acqua che chiudeva la via dell’aria verso i futuri ambienti, una sorta di sifoncino.
Lo sospettavamo da anni e, nonostante il disagio derivato dal dover lavorare in “umido”, non possiamo negare un minimo di soddisfazione per aver intuito già da qualche tempo la presenza di questo piccolo sifone pensile, senza averlo mai visto ma interpretando solamente il comportamento dell’aria durante le piene.
In poche parole i segnali evidenti erano tre:
– la cattiva qualità dell’aria nonostante le grandi cubature espulse;
– il bilancio tra l’aria espulsa e quella aspirata, che invece di risultare pari a zero è sempre stato
maggiore in espulsione;
– l’assenza di aria barica in profondità.
La presenza di un sifoncino era quindi la nostra risposta e, alla profondità di 250 m, il sifoncino è stato trovato.
L’acqua in fase di rimonta è quasi sempre più veloce dell’acqua in fase calante.
Negli ambienti di profondità che ancora ci attendono, la pressione dell’aria durante la piena aumenta notevolmente, forzando l’aria attraverso il sifoncino, riempiendo d’acqua gli ultimi metri di scavo, generando l’effetto Blocher e provocando flussi d’aria di oltre 100 km/h di velocità alla botola d’ingresso.
In aspirazione le cose sono invece molto più calme e lente. La decompressione della caverna finale permette lo svuotamento “verso valle” del sifoncino solo per brevi momenti, creando una forte e ritmata aspirazione (non continua, ma a impulsi).
Quando poi la forza aspirante generata dalla caverna in decompressione non riesce più a superare l’ostacolo formato dal sifoncino, la grotta principale (la Luftlöch) interrompe il flusso e, per raggiungere l’equilibrio, l’aria viene aspirata da chissà quali passaggi a noi sconosciuti.
E proprio quest’aspirazione diffusa, probabilmente collegata a piccole fessure, a frane di fondo dolina o a grotte che mai vedranno la luce, che potrebbe influire sui valori di CO2 riscontrati all’interno della Luftlöch.
Negli ultimi mesi i periodi di aspirazione sono aumentati, probabilmente a causa dei 7 m di stretta fessura che abbiamo allargato e che ora favoriscono il passaggio dell’aria.
Ultimo tassello, la mancanza di aria barica in profondità: è rilevabile all’ingresso, va perdendosi scendendo, sul fondo nulla… sempre per colpa del sifoncino.
E’ quasi come un giallo ma pian piano tutti i tasselli iniziano a combaciare.
Siamo molto fiduciosi che una volta superato il sifoncino, inizieremo a rilevare non solo l’aria barica ma anche valori in aspirazione che saranno finalmente bilanciati con quelli di espulsione.
Intanto gli scavi procedono.
LUGLIO 2015
Le ultime due discese nella Luftloch sono state di gran soddisfazione…
L’ ultimo anno l’abbiamo passato a creare, allargando una stretta fessura sott’acqua, un cunicolo orizzontale di quasi sei metri (dopo i precedenti sette metri verticali scavati seguendo una fessura millimetrica).
Ormai ci avevamo quasi fatto il callo a scavare senza gratificazioni, prima quasi nella roccia viva, poi a seguire una fessura allagata, nella quale solo timidi segnali durante le piene (o meglio durante le fasi calanti di aspirazione) ci indicavano per qualche ora la via da seguire…Meno d’un mese fa, però, una piccola piena ci mette in allerta.
La Luftloch, curiosamente, sembra soffiare un po’ di più (sempre proporzionalmente) rispetto alle altre grotte che monitoriamo, un soffio sui 50 km/h. Alla Lazzaro Jerko, invece, i km/h sono 40… Strano e da riconfermare il dato, poiché ad incrementi di acqua a livelli così bassi di magra, i dati da anni ci davano sempre il contrario.
Comunque, nonostante la pienuncola così modesta, la mattina successiva siamo ugualmente andati a controllare se le grotte davano già segnali di aspirazione. Alla Luftloch ci vogliono normalmente grosse piene per apprezzare l’aspirazione, ma quella mattina, nonostante la micropiena, un soffio di 20 km/h entrava dalla feritoia della botola. Mai visto la Luftloch aspirare tanto! Così ci si imbraga e si scende… al diavolo il lavoro! Discesa rapida e, a quaranta metri dal fondo, già i primi curiosi rumoracci…Mi infilo nel frastuono del cunicolo finale arrivando sul fronte scavo, dove posso osservare una pozzanghera intermittente con acqua che si muove ad intervalli irregolari e con risucchi violenti.
Mi metto le cuffie, in quanto i rumori sono così forti da esser addirittura fastidiosi. Mi tranquillizzo e mi ambiento qualche minuto: la grotta è come se fosse in risonanza ed i colpi d’aria e le vibrazioni fanno star male il corpo, come esser attaccati ad una cassa stereo coi toni bassi in continuo. Provo il demolitore, ma non lo sento. I rumori ambientali coprono tutto. Mi metto al lavoro e constato che ogni tanto il risucchio diventa costante, fluido e non intermittente. Siamo forse vicini alla fine del piccolo sifone? Poi l’acqua scende nuovamente, ricreando la pozzanghera e nuovamente… singhiozzi d’aria.Continuo lo scavo per otto ore (tanto i fumi del demolitore vengono aspirati in pochi secondi…) e penso che ci siamo. Levo materiale, spingo la testa più in fondo possibile e lascio la grotta con quest’ultima immagine: l’acqua che va in salita, risucchiata dall’aspirazione. Dieci giorni dopo riscendiamo e nuovamente inizio a dubitare delle mie facoltà mentali: sul fondo tutto tace e nulla fa ricordare i giochi della natura ammirati e temuti la volta precedente. Lavoriamo per un’oretta. Per me l’ultimo diaframma prima di superar il sifone doveva essere la lama che abbatto con pochi colpi di mazza, ma dietro una parete piatta non fa presagire nulla di buono. Continuo a forare con il demolitore: nel buco a destra avanzo per 40 centimetri, nel buco a sinistra dopo soli 10 centimetri mi fermo.
“Hai visto?“
“Cosa?“
“Mi è sembrato che dalla punta ci sia stato come uno sbuffo di polvere…“
Sarà il demolitore che fuma. Guardo il demolitore e non fuma. Vabbè, sarà il demolitore…
Dopo altri 10 centimetri: di nuovo! Tiro fuori la punta e tutto tace. Rimetto dentro, corre per i venti centimetri già fatti e ne fa’ altri venti in pochi secondi. Tiro fuori nuovamente la punta. Polvere in viso, un fischio, aria sulla fronte: Habemus baricam.
Dopo 15 anni abbiamo beccato finalmente il respiro della grotta. Non il soffio irregolare della piena, che si manifestava solo quando si vuotava in un senso o nell’altro il laghetto sifonante, ma il soffio continuo e regolare che ora ci indica che la via, anche se ancora non transitabile, è finalmente aperta.
Abbiamo lavorato ancora qualche ora allargando la fessura, che ora non fischia più, ma presenta un soffio morbido e costante. Da oggi, finalmente, non servirà più scendere con le piene per trovar la via, scenderemo solo per il piacere di assistere alla nostra “bora sotterranea”. I valori di ossigeno aumenteranno ulteriormente, sia per il rimescolio costante provocato dall’aria barica, sia perché le quantità di aria in uscita ed in entrata, durante le piene, saranno finalmente equivalenti. Probabilmente la grotta soffierà anche maggiormente.
Ormai l’aria non ha più motivi per trovarsi altre strade secondarie rispetto all’autostrada che le abbiamo aperto.
OTTOBRE 2015
Nelle ultime uscite la progressione dei lavori è stata facilitata dal fatto che, anziché seguire una fessura centimetrica rendendola transitabile, si doveva allargare un meandrino di misure ragionevoli rispetto a quelle precedenti.
Così in poche uscite, dopo aver reso agibile detto meandrino, siamo riusciti a raggiungere uno slargo di dimensioni finalmente umane.
In questo slargo, una specie di cengia che scendeva dal soffitto nascondeva la prosecuzione. Eliminatola, abbiamo potuto illuminare il soffitto concrezionato di un nuovo ambientino.
Con poco lavoro, sbancata una dunetta d’argilla, siamo riusciti – strisciando – ad accedere a questo piccolo vano, dove è stata individuata una sicura prosecuzione, semi ostruita da una tozza stalattite. Oltre si scorge un ulteriore piccolo vano, che raggiungeremo a breve scavando un passaggio più comodo ed abbassando il pavimento argilloso.
La prosecuzione evidente lascia pochi dubbi ed il ritrovamento dei resti di uno pterostichus conferma l’osservazione di un esemplare vivo avvenuta nel 2010.
FEBBRAIO 2016
Procedono i lavori sul fondo della grotta denominata Luftloch, a circa 250 m di profondità. Qualche volta è necessario l’intervento di poche persone che operano con attenzione nell’individuare i labili segnali dell’aria per trovare la prosecuzione, altre volte servono squadre più numerose per spostare e accatastare materiali.
Domenica, essendo necessaria una forte azione al fine di eliminare definitivamente la formazione di un laghetto pensile molto fastidioso, è stato chiesto un aiuto ai nostri amici d’oltre confine, che hanno risposto numerosi.
Così, in mattinata, sono scesi in Luftloch ben 16 speleo, con incombenze e compiti diversi: chi ha scavato, chi ha riparato l’impianto di aspirazione dell’aria, chi ha semplicemente visto in anteprima la grotta che presto arriverà al fiume Timavo.
PRECISAZIONE
I lavori di scavo alla Luftloch durano ormai da più di un decennio, e questo per vari motivi. Ci sono state difficoltà legate alle caratteristiche della prima parte della grotta (in frana, da puntellare) e della parte profonda (fessure di pochi centimetri da allargare). Ma un ulteriore elemento che ha complicato le esplorazioni è stata la composizione dell’aria. All’inizio gli esploratori accusavano, senza saperne il motivo, della profonda stanchezza e del forte mal di testa. Queste circostanze ci hanno portato a cercare di capire qualcosa di più ed è emerso un fatto molto inquietante: l’aria che si respira talvolta in questa grotta ha delle percentuali sballate di ossigeno (troppo basse) e di anidride carbonica (troppa alte), tali da creare situazioni estremamente pericolose (vedi notizia 1 e notizia 2). Per il momento si è ovviato all’inconveniente con l’utilizzo di un’apposita ventilazione forzata, ma il rischio potenziale rimane e per operare in sicurezza i tempi inevitabilmente si allungano. Resta ancora da scoprire il motivo che ha portato alla formazione di questa particolare atmosfera nelle profondità della Luftloch.
La Teoria della Piena Inversa
Visita la pagina dedicata alla Teoria della Piena Inversa ed ai comportamenti anomali riscontrati durante le piene del fiume Timavo nel suo corso sotterraneo.
GrottenArbeiter
Di seguito un’anteprima del film di Tullio Barnabei dedicato alla ricerca del Timavo ed ai vecchi e nuovi grottenarbeiter, dove si possono vedere varie immagini della Luftloch.
“Il Timavo è un sogno. Il Timavo è un sogno che stiamo cercando di concretizzare metro dopo metro”
Citazione da MR
Sono ideatori e protagonisti assoluti dello scavo alla Luftloch:
Marco Restaino
Piero Slama
Hanno collaborato in modo fondamentale:
Fulvio Levi
Massimiliano Blocher
Hanno contribuito con il loro lavoro:
Ilario Muggia
Fabio de Nadai
Hanno saltuariamente dato una mano:
Sergio Dambrosi
Cristian Duro
Marco Gubertini,
Paolo Guglia.
Alberto Maizan,
Beppe Masarin,
Lorenzo Slama,
ed altri curiosi di passaggio...